Miniera di Capo Becco

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L'isola di San Pietro è strettamente legata al nascere ed all'affermarsi dell'industria mineraria sarda. Soprattutto perchè dal suo porto di Carloforte partiranno per diverse decine d'anni, a partire dalla metà '800, i velieri ed i vapori carichi di minerali destinati alle fonderie provenzali e liguri.

Ma in quest'isola, a partire dal 1873, si sarebbe aperta una miniera per sfruttarvi le mineralizzazioni di manganese individuate da un ricercatore francese, Pietro Chareyze nei pressi di capo Becco.

Le vicende produttive dell'impresa - nonostante le forti richieste di questo materiale colorante - non sarebbero state molto facili, tant'è che si sarebbero succeduti diversi passaggi di mano. Viene anche difficile seguirle: nel 1877 la proprietà venne acquisita da un altro francese, Edmond Piot, che l'avrebbe poi dovuta cedere, a causa di un fallimento, ad un altro francese stabilitosi a Cagliari: Alberto Chapelle. Negli anni finali del secolo, proprietaria ne divenne la famiglia Bellegrandi, a cui si dovette, nei venti e più anni della sua gestione, un forte rilancio delle produzioni; ciononostante nel 1921 gli impianti e la concessione andarono, per una decina d'anni, alla "Compagnia Mineraria di Capo Rosso" per poi passare ad un imprenditore tedesco, Otto Kassel. Nel '37 sarà l'azienda pubblica AMMI a prendere possesso della miniera, introducendovi notevoli migliorie organizzative, fra cui la teleferica che, azionata elettricamente, trasportava il minerale dal piano degli scavi fino ai sottostanti silos sotto costa per essere imbarcata. Nel secondo dopoguerra sarà nuovamente Kassel con un suo collaboratore, Eraldo Uccheddu, che attraverso alterne vicende ne curarono l'esercizio produttivo per poi chiuderlo definitivamente nel 1977. Oggi la miniera è abbandonata, ma si possono ancora vedere alcuni stabili, i resti della teleferica e del gruppo elettrogeno che produceva l'energia